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MODELLO TEORICO DI RIFERIMENTO
Cenni sull’origine e lo sviluppo del modello gestaltico
La psicoterapia della Gestalt nasce negli anni ’50, dall’incontro di un gruppo di professionisti con storie e competenze diverse: due psicoanalisti tedeschi, Frederick Perls e la moglie Laura Posner, il saggista e letterato Paul Goodman, il filosofo Isadore From, il pedagogista Elliot Shapiro, i medici Paul Weiss e Ralph Hefferline. Nasce da una revisione della teoria e della prassi psicoanalitica attingendo a saperi umanistici e scientifici plurali, mossi dall’esigenza di leggere e rispondere a problemi e potenzialità individuali e sociali di quel periodo storico (Perls, Hefferline e Goodman, 1951).
Questo modello si sviluppa negli Stati Uniti, ma ha forti radici europee, evidenti se si scorre l’elenco dei fondatori, il loro luogo di nascita e formazione, ed evidente soprattutto nelle basi filosofiche e culturali a cui il modello attinge. Le radici affondano, infatti, oltre che nella psicoanalisi freudiana, nella fenomenologia tedesca e francese, nelle ricerche di Kurt Goldstein e della psicologia della Gestalt, nell’estetica e nell’esistenzialismo francese, nell’Olismo di Smuts, oltre che nel pragmatismo americano, in particolare di John Dewey e George H. Mead (Bocian, 2012; Wheeler e Axelsson, 2015; Spagnuolo Lobb, 2011; Amendt-Lyon, 2016).
Nata come corrente dissidente nei confronti della psicoanalisi, la psicoterapia della Gestalt incontra un terreno fertile per la sua diffusione nel clima culturale degli Stati Uniti degli anni ’60 e ’70, sviluppando progressivamente ulteriori elementi teorici e diversi campi di applicazione. Il periodo storico è quello dell’affermarsi delle terapie della cosidetta area umanistica alla quale la psicoterapia della Gestalt ha dato un contributo originale, arrivando a rappresentarne una delle incarnazioni più importanti (Cain, 2002; Elliott, Greenberg e Lietaer, 2004).
All’interno degli sviluppi del modello gestaltico, la scuola fa particolare riferimento a quelle correnti che sottolineano la centralità di una prospettiva relazionale e di campo in psicoterapia (Jacobs e Hycner, 2009; Francesetti, 2014a; Robine, 2006; Vázquez Bandín, 2014; Philippson, 2009; Spagnuolo Lobb, 2011; Bloom e O’Neill, 2014). Si tratta di una elaborazione sviluppatasi soprattutto negli ultimi decenni, in linea con la svolta relazionale che ha attraversato i vari modelli psicoterapeutici (Lingiardi et al., 2011).
La letteratura scientifica ha dimostrato la capacità di questo approccio di evolversi nel tempo rispondendo alle nuove esigenze socio-culturali (Spagnuolo Lobb, 2011; Bloom e O’Neill, 2014), di ampliare le aree di applicazione clinica (Francesetti, Gecele e Roubal, 2014; Greenberg, 2016), di rinnovarsi attraverso il dialogo con altri modelli, con la ricerca e con aree disciplinari contigue (Petrini e Zucconi, 2008; Moselli, 2011; Petrini, 2013). Una mole crescente di ricerche empiriche ha permesso di studiare i processi e dimostrare l’efficacia dell’approccio in setting clinici individuali, di coppia e di gruppo (si vedano ad esempio Tillet, 1994; Stevens et al., 2011; Martinez, 2002; Greenberg e Malcolm, 2002; Rosner, Beutler e Daldrup, 2000; Kelly e Howie, 2011; Aiach Dominitz, 2016; Schattmayer-Bolle, 1990; Baddeley, 1996; e le rassegne e meta-analisi Roubal et al., 2016; Strumpfel, 2006; Brownell, 2008; Bretz, Heekerens e Schmitz, 1994).
La capacità di lettura del contesto e delle relazioni, la flessibilità tecnica accompagnata da spessore e rigore teorico le hanno permesso nel tempo di svilupparsi non solo nell’ambito della terapia individuale, ma anche in quelli delle problematiche della coppia, della famiglia, dei gruppi, dei sistemi (Woldt e Toman, 2005; Lee, 2009; Wheeler e Axelsson, 2015; Hemming, 1994).
Queste stesse caratteristiche rendono possibile declinare le letture e gli interventi terapeutici tenendo conto anche del cambiare del tessuto sociale e degli orizzonti culturali, e permettono quindi sia di avvicinare le attuali espressioni della sofferenza, sia di sostenere le esigenze di crescita e di benessere personale e relazionale, considerati fondamentali nei documenti nazionali e internazionali sulla promozione della salute (WHO, 2013; 2014, Francesetti, Gecele e Roubal, 2014; Polster, 2007; Salonia, 2014).
Alcuni elementi teorici fondamentali
I costrutti teorici alla base della psicoterapia della Gestalt derivano originariamente da una revisione dell’impianto teorico psicoanalitico freudiano a partire soprattutto dall’influenza della psicologia della Gestalt, della fenomenologia, del pragmatismo americano. Il modello pulsionale viene sostituito da una prospettiva radicalmente relazionale, sostenuta dall’introduzione di elementi teorici che spostano il focus dell’osservazione e dell’intervento dalla dimensione intrapsichica al campo fenomenologico che si co-crea nell’incontro: concetti come il confine di contatto, la dinamica figura/sfondo, il processo e l’intenzionalità di contatto e la prospettiva di campo sono costrutti fenomenologici che consentono di descrivere l’esperienza vissuta e la sofferenza clinica, senza perdere la loro unicità e la dimensione relazionale da cui originano. Si tratta di astrazioni che fissano elementi dell’esperienza e dell’interazione intersoggettiva, spostando il focus dall’interno della persona alle dinamiche attive in ogni interazione e relazione. Anche il sé viene decentrato da un orizzonte individualistico e collocato al confine fra il soggetto e il mondo, nel cuore dell’esperienza (Robine, 2006; Philippson, 2009): è un sé che emerge come funzione del campo relazionale, in piena coerenza con le letture e le teorie sulla postmodernità (Vattimo e Rovatti, 1983; Chiurazzi, 2007) e con i contributi più recenti delle neuroscienze (Damasio, 2012). È inoltre un sé incarnato, espressione di una continua dinamica implicita e intercorporea (Stern, 2000; Gallese, Migone e Eagle, 2006). Questa prospettiva teorica entra in dialogo fecondo con altri modelli, in particolare con quelli che utilizzano chiavi di lettura contestuali, fenomenologiche, relazionali e di campo (The Boston Change Process Study Group, 2012; Stern, 2011; Stolorow, Atwood e Orange, 1999; Katz, Cassorla e Civitarese, 2016; Mitchell, 2002).
Da queste premesse deriva una prassi psicoterapeutica che mette al centro dell’attenzione e dell’intervento i fenomeni co-creati che emergono nell’incontro fra paziente e terapeuta. Questo focus sull’hic et nunc della cura, tuttavia, non perde di vista la dimensione temporale più estesa costituita dalla relazione terapeutica che si dispiega nel tempo. E tiene anche conto del contesto sociale e culturale più ampio in cui si situa. Il cambiamento sociale, e le influenze patogenetiche e patoplastiche che questo comporta sugli individui, richiede infatti un ripensamento continuo della sofferenza clinica e dei percorsi di cura.
MODELLO TEORICO DI RIFERIMENTO
La Scuola ha richiesto il riconoscimento da parte del MIUR ed è in attesa di riscontroCenni sull’origine e lo sviluppo del modello gestaltico
La psicoterapia della Gestalt nasce negli anni ’50, dall’incontro di un gruppo di professionisti con storie e competenze diverse: due psicoanalisti tedeschi, Frederick Perls e la moglie Laura Posner, il saggista e letterato Paul Goodman, il filosofo Isadore From, il pedagogista Elliot Shapiro, i medici Paul Weiss e Ralph Hefferline. Nasce da una revisione della teoria e della prassi psicoanalitica attingendo a saperi umanistici e scientifici plurali, mossi dall’esigenza di leggere e rispondere a problemi e potenzialità individuali e sociali di quel periodo storico (Perls, Hefferline e Goodman, 1951).
Questo modello si sviluppa negli Stati Uniti, ma ha forti radici europee, evidenti se si scorre l’elenco dei fondatori, il loro luogo di nascita e formazione, ed evidente soprattutto nelle basi filosofiche e culturali a cui il modello attinge. Le radici affondano, infatti, oltre che nella psicoanalisi freudiana, nella fenomenologia tedesca e francese, nelle ricerche di Kurt Goldstein e della psicologia della Gestalt, nell’estetica e nell’esistenzialismo francese, nell’Olismo di Smuts, oltre che nel pragmatismo americano, in particolare di John Dewey e George H. Mead (Bocian, 2012; Wheeler e Axelsson, 2015; Spagnuolo Lobb, 2011; Amendt-Lyon, 2016).
Nata come corrente dissidente nei confronti della psicoanalisi, la psicoterapia della Gestalt incontra un terreno fertile per la sua diffusione nel clima culturale degli Stati Uniti degli anni ’60 e ’70, sviluppando progressivamente ulteriori elementi teorici e diversi campi di applicazione. Il periodo storico è quello dell’affermarsi delle terapie della cosidetta area umanistica alla quale la psicoterapia della Gestalt ha dato un contributo originale, arrivando a rappresentarne una delle incarnazioni più importanti (Cain, 2002; Elliott, Greenberg e Lietaer, 2004).
All’interno degli sviluppi del modello gestaltico, la scuola fa particolare riferimento a quelle correnti che sottolineano la centralità di una prospettiva relazionale e di campo in psicoterapia (Jacobs e Hycner, 2009; Francesetti, 2014a; Robine, 2006; Vázquez Bandín, 2014; Philippson, 2009; Spagnuolo Lobb, 2011; Bloom e O’Neill, 2014). Si tratta di una elaborazione sviluppatasi soprattutto negli ultimi decenni, in linea con la svolta relazionale che ha attraversato i vari modelli psicoterapeutici (Lingiardi et al., 2011).
La letteratura scientifica ha dimostrato la capacità di questo approccio di evolversi nel tempo rispondendo alle nuove esigenze socio-culturali (Spagnuolo Lobb, 2011; Bloom e O’Neill, 2014), di ampliare le aree di applicazione clinica (Francesetti, Gecele e Roubal, 2014; Greenberg, 2016), di rinnovarsi attraverso il dialogo con altri modelli, con la ricerca e con aree disciplinari contigue (Petrini e Zucconi, 2008; Moselli, 2011; Petrini, 2013). Una mole crescente di ricerche empiriche ha permesso di studiare i processi e dimostrare l’efficacia dell’approccio in setting clinici individuali, di coppia e di gruppo (si vedano ad esempio Tillet, 1994; Stevens et al., 2011; Martinez, 2002; Greenberg e Malcolm, 2002; Rosner, Beutler e Daldrup, 2000; Kelly e Howie, 2011; Aiach Dominitz, 2016; Schattmayer-Bolle, 1990; Baddeley, 1996; e le rassegne e meta-analisi Roubal et al., 2016; Strumpfel, 2006; Brownell, 2008; Bretz, Heekerens e Schmitz, 1994).
La capacità di lettura del contesto e delle relazioni, la flessibilità tecnica accompagnata da spessore e rigore teorico le hanno permesso nel tempo di svilupparsi non solo nell’ambito della terapia individuale, ma anche in quelli delle problematiche diella coppia, della famiglia, dei gruppi, dei sistemi (Woldt e Toman, 2005; Lee, 2009; Wheeler e Axelsson, 2015; Hemming, 1994).
Queste stesse caratteristiche rendono possibile declinare le letture e gli interventi terapeutici tenendo conto anche del cambiare del tessuto sociale e degli orizzonti culturali, e permettono quindi sia di avvicinare le attuali espressioni della sofferenza, sia di sostenere le esigenze di crescita e di benessere personale e relazionale, considerati fondamentali nei documenti nazionali e internazionali sulla promozione della salute (WHO, 2013; 2014, Francesetti, Gecele e Roubal, 2014; Polster, 2007; Salonia, 2014).
Alcuni elementi teorici fondamentali
I costrutti teorici alla base della psicoterapia della Gestalt derivano originariamente da una revisione dell’impianto teorico psicoanalitico freudiano a partire soprattutto dall’influenza della psicologia della Gestalt, della fenomenologia, del pragmatismo americano. Il modello pulsionale viene sostituito da una prospettiva radicalmente relazionale, sostenuta dall’introduzione di elementi teorici che spostano il focus dell’osservazione e dell’intervento dalla dimensione intrapsichica al campo fenomenologico che si co-crea nell’incontro: concetti come il confine di contatto, la dinamica figura/sfondo, il processo e l’intenzionalità di contatto e la prospettiva di campo sono costrutti fenomenologici che consentono di descrivere l’esperienza vissuta e la sofferenza clinica, senza perdere la loro unicità e la dimensione relazionale da cui originano. Si tratta di astrazioni che fissano elementi dell’esperienza e dell’interazione intersoggettiva, spostando il focus dall’interno della persona alle dinamiche attive in ogni interazione e relazione. Anche il sé viene decentrato da un orizzonte individualistico e collocato al confine fra il soggetto e il mondo, nel cuore dell’esperienza (Robine, 2006; Philippson, 2009): è un sé che emerge come funzione del campo relazionale, in piena coerenza con le letture e le teorie sulla postmodernità (Vattimo e Rovatti, 1983; Chiurazzi, 2007) e con i contributi più recenti delle neuroscienze (Damasio, 2012). È inoltre un sé incarnato, espressione di una continua dinamica implicita e intercorporea (Stern, 2000; Gallese, Migone e Eagle, 2006). Questa prospettiva teorica entra in dialogo fecondo con altri modelli, in particolare con quelli che utilizzano chiavi di lettura contestuali, fenomenologiche, relazionali e di campo (The Boston Change Process Study Group, 2012; Stern, 2011; Stolorow, Atwood e Orange, 1999; Katz, Cassorla e Civitarese, 2016; Mitchell, 2002).
Da queste premesse deriva una prassi psicoterapeutica che mette al centro dell’attenzione e dell’intervento i fenomeni co-creati che emergono nell’incontro fra paziente e terapeuta. Questo focus sull’hic et nunc della cura, tuttavia, non perde di vista la dimensione temporale più estesa costituita dalla relazione terapeutica che si dispiega nel tempo. E tiene anche conto del contesto sociale e culturale più ampio in cui si situa. Il cambiamento sociale, e le influenze patogenetiche e patoplastiche che questi comporta sugli individui, richiede infatti un ripensamento continuo della sofferenza clinica e dei percorsi di cura.